dei SS. PIETRO E ANDREA
La Valle di Susa merita di essere visitata in maniera approfondita, non solo perché è incantevole dal punto di vista naturalistico, ma storicamente è di enorme interesse.
Questo viaggio è dedicato all’ abbazia dei SS. Pietro e Andrea, più nota come di Novalesa.
Arrivo a Susa, cittadina a me molto cara e che ogni tanto mi piace ritrovare. Prendo per la valle laterale, modellata dal torrente Cenischia, per ancora circa 10 km, in direzione Novalesa.
Eccomi al parcheggio antistante il complesso religioso. Un cancello permette l’ accesso al cortile dove sorge la Chiesa abbaziale.
Fin dal momento della fondazione (726 d.C.), per volere di Abbone, nobile di stirpe franco-romana, l’ abbazia fu dedicata ai due Apostoli, e la sua funzione era quella di accoglienza dei viandanti e dei pellegrini che transitavano su questo tratto della Via Francigena. Sicuramente, Carlo Magno la visitò, quando spiazzò i Longobardi da questi territori, per non dimenticare che suo figlio Ugo, qui fu abate prima di Eldrado.
Per quasi 200 anni i benedettini vissero in pace e prosperità, dedicandosi all’ osservanza della loro Regola, e alla Biblioteca, ricca di volumi antichi e manoscritti. Il periodo di massima fioritura fu sotto la guida dell’ abate Eldrado, considerato Santo dai monaci per i miracoli compiuti.
Purtroppo, però la vita ritmata da lavoro e preghiera, fu sconvolta da un alternarsi di eventi terribili. Nel 906 venne distrutta dai Saraceni, per cui i monaci dovettero abbandonare il sito e riparare a Torino. Nel X secolo tornarono, ma ancora una volta dovettero lasciarla. Nell’ XI secolo giunsero i Cistercensi, ma più tardi un altro abbandono toccò all’ abbazia. Nel 1818 troviamo di nuovo i benedettini, che alla fine del secolo devono nuovamente lasciare il loro monastero.
Finalmente, nel 1970 l’ abbazia fu acquistata dalla Provincia di Torino, e fu permesso a quattro monaci di abitare il luogo sacro, quasi a confermarne i quasi 1300 anni di storia.
Nel 2009 fu realizzato il Museo Archeologico. E’ alla reception del museo che trovo un giovane che indirizza sulla visita e che risponde volentieri alle nostre domande. Ha un entusiasmo e una preparazione storica che colpiscono. Ogni tanto si scusa, dicendo che lui è di parte. . . ma è proprio questo amore per la propria terra che fa la differenza. Sono stata fortunata ad aver incontrato Marco S. che mi informa anche sull’ abbazia in generale e sul territorio circostante.
Il museo è interessantissimo e ben allestito. Conserva reperti archeologici di età romana e gotica, frammenti di decorazioni pittoriche e un affresco risalenti alla seconda metà del XV secolo, ad opera di Antoine de Lohny, che ritroverò anche nella chiesa.
La prima sala ospita una sezione dedicata al restauro del libro, arte che ancora oggi è praticata dai monaci residenti; nell’ altra sala si tratta la vita monastica e la storia del monachesimo.
Terminata la visita, mi sposto per entrare nella chiesa.
La facciata è piuttosto sobria; all’ interno: una sola navata e quattro cappelle laterali. Le tracce dell’ antico edificio romanico sono evidenti, anche gli affreschi sono dell’ XI secolo, ai quali si affiancano quelli tardo gotici, del Lhony.
Anche il bel Chiostro ha subìto dei rimaneggiamenti; oggi si presenta con le poderose colonne prive di capitelli.
Nel parco abbaziale sorgono alcune cappelle, di origine medievale.
La prima che si incontra sulla antica strada che conduce al monastero, è la Cappella di Santa Maria. Coeva a questa èla Cappella di San Michele (VII sec.). Addossata al muro di cinta sorge la Cappella di San Salvatore ( XI sec. ); mentre più in alto, quasi a strapiombo sulla valle Cenischia, si erge la bella Cappella di Sant’ Eldrado e San Nicola, della prima metà dell’ XI secolo. All’ interno si trovano stupendi affreschi dell’ anno Mille dedicati al santo abate e a S. Nicola.
Concludo la visita, anche se mi hanno suggerito di andare fino alle Cascate lì vicino. . . non ho molto tempo, e me le voglio conservare per la prossima volta che tornerò in questo luogo di pace e meditazione.